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CIRCOLARE 05/2023

Copertina

Come già fatto in passato, periodicamente portiamo alla vostra attenzione punti che dovrebbero essere assodati nell’ordinaria amministrazione ma che necessitano di attenzione e per questo vi consigliamo di leggere quanto segue.

 

Il “normale orario di lavoro” a cui siamo abituati è disciplinato dal d.lgs. 66/2003.

L’articolo 2 del citato decreto prevede che le disposizioni in materia di orario di lavoro si applichino a tutti i settori di attività pubblici e privati, con alcune eccezioni dovute alla particolarità delle mansioni svolte (ad esempio i lavoratori marittimi, il personale di volo nell’aviazione civile, le forze armate, il personale della scuola, ecc.). Per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, quindi quando il lavoratore si trova soggetto al potere direttivo del datore di lavoro.

Nei casi dubbi in cui ricondurre il caso concreto alla suddetta definizione non è immediato, la legge o la giurisprudenza o la prassi possono definire come considerarli. Ad esempio, il tempo di vestizione c.d. “tempo-tuta” è considerato tempo di lavoro, così come anche la formazione imposta dallo stesso datore di lavoro o effettuata in base a obblighi normativi; mentre la reperibilità oppure la pausa pranzo no.

L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali (art. 3 d.lgs. 66/2003) ma i contratti collettivi possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni in un periodo non superiore all’anno (orario multi periodale). Il CCNL può prevedere la durata dell’orario settimanale superiore al limite legale solamente se si riferiscono a lavoratori esclusi dall’applicazione dell’orario normale come ad es. impianti distribuzione carburanti, autotrasportatori. Ci possono essere delle previsioni contrattuali con periodi di maggior prestazione e periodi con una prestazione inferiore ma devono comunque rispettare nella media i limiti legali su esposti (es. 4 settimane orario normale 44 ore e le 4 successive a 36 ore a settimana).

La collocazione dell’orario nella settimana è determinata dal datore di lavoro; sono possibili, senza necessità di accordi sindacali, forme di flessibilità (inizio e termine flessibile della prestazione) gestite in modo autonomo dal dipendente.

In ogni caso la durata media dell’orario di lavoro non può superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di straordinario. Il limite delle 48 ore settimanali deve essere calcolato come media settimanale nel periodo di 4 mesi e non si computano le ferie e la malattia; le ore di straordinario per le quali si beneficia il riposo compensativo non vengono conteggiate. I contratti collettivi possono elevare il periodo di riferimento a 6 o 12 mesi solo a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro.

La normativa prevede che il lavoratore abbia diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 e non può essere diminuito da nessun accordo tra le parti.

L’organizzazione dell’orario giornaliero (numero di ore lavorative, ora d’inizio e di termine della prestazione e durata degli intervalli di riposo) è, in genere, rimessa a criteri individuati a livello aziendale.

Quando l’orario di lavoro giornaliero supera le 6 ore, il lavoratore ha diritto ad una pausa finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’eventuale consumazione del pasto e all’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono. La durata e la modalità della pausa sono in genere stabilite dai contratti collettivi e/o dai regolamenti aziendali.

La legge stabilisce che, in mancanza di disciplina collettiva che preveda un intervallo, il lavoratore ha diritto ad una pausa (anche sul posto di lavoro) di durata non inferiore a 10 minuti consecutivi. La determinazione del momento in cui godere della pausa è rimessa al datore di lavoro, che la può collocare - tenuto conto delle

esigenze tecniche dell’attività lavorativa - in qualsiasi periodo della giornata lavorativa.

Il lavoratore titolare di più rapporti di lavoro ha comunque diritto al periodo di riposo giornaliero. Spetta a lui l’onere di comunicare ai diversi datori di lavoro l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti indicati.

Questo significa che la durata della giornata lavorativa può essere al massimo di 12 ore e 50 minuti.

Oltre ai riposi giornalieri, la normativa prevede il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale, regolamentato dall’art. 9 sempre del d.lgs. 66/2003 e quantificato in un periodo di almeno 24 ore consecutive nel periodo di 7 giorni da cumulare con il riposo giornaliero di 11 ore. Tale limite può essere anche conteggiato come media su un periodo non superiore a 14 giorni (D.L. 112/2008). Il riposo settimanale di regola coincide con la domenica ma può essere fissato in un giorno diverso per le attività aventi determinate caratteristiche (es. negozio aperto 7 giorni su 7).

Con la nota n. 19428 del Ministero del Lavoro del 14 dicembre 2009, si è previsto che il datore di lavoro non è obbligato a concedere il riposo ogni sette giorni: il tempo di riposo consecutivo è, infatti, calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Se si vuole attivare questo orario su 14 giorni bisogna fare molta attenzione a verificare giorno per giorno se sono rispettati i 2 giorni di riposo nei 14 giorni antecedenti.

Oltre ai riposi ed alle pause è previsto il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. I contratti collettivi possono prevedere condizioni migliorative ma il periodo minimo di 4 settimane non può essere sostituito dalla indennità per ferie non godute (salvo nel caso di cessazione del rapporto di lavoro).

Il Decreto in analisi prevede inoltre alcuni articoli che disciplinano il lavoro notturno. Per lavoratore notturno si intende qualsiasi lavoratore che svolga almeno una parte della sua attività lavorativa nell’intervallo temporale tra mezzanotte e le cinque del mattino o secondo le norme definite dai contratti collettivi. In assenza di disposizioni nei CCNL è considerato lavoratore notturno chi svolge lavoro notturno per almeno 80 giorni lavorativi all’anno.

I contratti collettivi possono prevedere dei requisiti o individuare i lavoratori da escludere dall’obbligo. È vietato adibire le donne in gravidanza al lavoro dalle 24 alle 6 del mattino e fino al compimento dell’anno di età del bambino.

L’orario di lavoro notturno non può superare le otto ore in media nelle 24 ore, salvo l’individuazione da parte dei contratti collettivi di un periodo di riferimento più ampio.

 

Sempre i CCNL disciplinano l’eventuale definizione delle riduzioni dell’orario di lavoro o dei trattamenti economici.

 

Sperando di aver fatto cosa gradita e ringraziando per l’attenzione porgiamo cordiali saluti.

 

STUDIO PERIC DRUFOVKA SIMEONI

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